Senza che l’ignaro consumatore se ne sia accorto, nel corso degli ultimi anni è cambiato qualche cosa nella macchina che chiamiamo personal computer: il software installato in un chip della scheda madre, che si attiva all’accensione del computer per collegare la macchina al sistema operativo, non è più quello di un tempo.
Al BIOS (Basic Input Output System) è subentrato l’UEFI (Unified Extensible Firmware Interface).
L’idea del cambiamento risale all’inizio del secolo, esattamente al 2003, e il primo annuncio dell’idea è stato dato dalla Intel nell’Intel Developer Forum di San Josè il 24 febbraio di quell’anno. In una dozzina di anni, con estrema gradualità, il cambiamento si è generalizzato ed oggi tutti i personal computer in vendita a 64 bit, a meno che si tratti di vecchi fondi di magazzino, sono equipaggiati UEFI.
La differenza tra i due sistemi sta innanzi tutto nel miglioramento della grafica del software: il BIOS era molto spartano e antiquato mentre UEFI ha una interfaccia grafica moderna, del tipo di quelle cui siamo ormai abituati.
L’accesso al sistema, fatte salve le complicazioni introdotte da Microsoft che vedremo poi, avviene sempre utilizzando, al momento dell’accensione del computer, i tasti F10 (per modelli HP/Compaq), F2 (per modelli Acer, Toshiba, Dell e alcuni modelli Asus), CANC/DEL (per modelli MSI e alcuni modelli Asus), comunque come indicato nei manuali che accompagnano le varie macchine.
Praticamente nello stesso modo con cui lo si faceva con il BIOS si può agire affinché il PC si avvii prioritariamente da disco o chiavetta USB (cosa che sul Mac si può fare senza intervenire sul software ma semplicemente tenendo premuto il tasto C all’avvio del computer).
La grande innovazione di sostanza sta nella diversa organizzazione del settore di boot del sistema operativo.
Nel vecchio sistema BIOS la tabella delle partizioni dell’hard disk e il boot loader per l’avvio del sistema operativo erano alloggiati nel MBR (Master Boot Record), una piccola zona che occupava i primi 512 byte dell’hard disk. Il disco basato su MBR non poteva superare la dimensione di 2 Terabyte e non poteva ospitare più di quattro partizioni primarie.
Nel nuovo sistema UEFI saltano tutte queste limitazioni: sono i vari sistemi operativi che qua e là eventualmente ne pongono (per esempio, il numero delle partizioni primarie ammesse in genere è attorno alle 128, Windows accetta la dimensione del disco, che teoricamente potrebbe arrivare a oltre 9 Zettabyte, cioè 9 miliardi di Terabyte, fino a 256 Terabyte). Tabella delle partizioni e boot loader dei sistemi operativi stanno nella GPT (GUID Partition Table), una zona del disco chiamata “efi system partition” o qualche cosa di simile, a seconda di macchine e sistemi.
I kernel Linux sono da sempre compatibili con lo standard UEFI.
Mac è compatibile con lo standard UEFI da quando ha adottato il processore Intel nel 2005.
Windows ha cominciato a supportare lo standard UEFI nel 2009 con la versione a 64 bit di Windows 7.
Fino al settembre 2012 tutti d’amore e d’accordo nel graduale passaggio al nuovo standard, in parallelo all’uscita delle macchine attrezzate con UEFI (concretamente iniziata all’inizio del 2011), nel senso che, a seconda del tipo di macchina, il sistema operativo che vi si installava, purché a 64 bit, vi si adattava senza che nessuno se ne accorgesse.
Con il rilascio di Windows 8, appunto nel settembre 2012, Microsoft, approfittando di una funzione chiamata “secure boot”, resa disponibile da UEFI e in forza della quale è possibile inibire il funzionamento di sistemi operativi non accreditati dal costruttore, pretese che tutti i computer con precaricato Windows 8 avessero attivata la funzione “secure boot” in favore del sistema Windows. Senza dubbio il provvedimento, almeno si spera, fu ispirato da validi motivi di sicurezza: sta di fatto che il mancato coinvolgimento preventivo di altri onesti produttori di sistemi operativi ha creato momenti di panico e il giusto, pesante intervento della Free Software Foundation. Tutte le distro Linux in circolazione passarono infatti bruscamente per software non accreditato e tutte le live dimostrative con le quali si provavano i vari sistemi operativi del mondo Linux per decidere se installare o meno il sistema stesso smisero di funzionare sui computer con precaricato Windows 8, cioè tutti quelli che si acquistavano nei soliti negozi.
Su Internet troviamo numerose tracce delle diatribe che ne seguirono e si può immaginare ciò che si disse della Microsoft e della sua mossa da elefante in cristalleria. Soprattutto troviamo in rete tanti suggerimenti su come fare a superare il problema, suggerimenti che si sono stratificati nel tempo e non sempre tengono conto della realtà che nel frattempo si è creata. Per cui, letti oggi, sono obsoleti.
Ad oggi, marzo 2017, la situazione è la seguente.
Microsoft, nel frattempo passata a Windows 10, mantiene l’imposizione ai fabbricanti di computer che preinstallano il suo sistema operativo di attivare il “secure boot”. In più mantiene per default la modalità di avvio rapido (si chiamava “Fast Boot” in Windows 8, si chiama “Fast Startup” in Windows 10), in forza della quale, come si accende il computer, qualunque tasto si utilizzi per cercare di entrare in UEFI, non si riesce nell’intento e si avvia, invece, il sistema operativo Windows. Come dire, al malcapitato non esperto che ha comperato un qualsiasi computer in un negozio, “non avrai altro sistema operativo al di fuori di me”.
Se il malcapitato diventa un po’ esperto scopre che all’interno di Windows c’è un modo per disattivare la funzione “Fast Startup”, così come c’è modo di entrare in UEFI per eventualmente disattivare anche il “secure boot”: entrata in UEFI che diventa comunque fattibile, una volta disattivata la funzione “Fast Startup”, premendo i necessari tasti all’avvio del computer.
A questo punto, con disattivate entrambe le funzioni, il malcapitato recupera finalmente la libertà di mettere il sistema operativo che più gli aggrada su un computer che, tra l’altro, ha pagato di più in quanto arricchito – anzi, direi, infestato – da Windows precaricato.
Fortunatamente, almeno ricorrendo a vendite on-line (Amazon, sito HP, catena LinuxSi, Kelkoo, ecc.), è diventato ormai possibile acquistare una grande varietà di computer con preinstallato il sistema Linux o senza alcun sistema operativo, in modo da potervi installare ciò che si vuole senza avere tra i piedi Windows con i problemi che si porta appresso e risparmiando mediamente un centinaio di euro.
Nel frattempo, comunque, i seguenti sistemi Linux a 64 bit si sono accreditati e funzionano anche con attivata la funzione “secure boot” di UEFI:
Ubuntu e derivate dalla versione 12.10
Linux Mint dalla versione 15
Fedora dalla versione 18
openSuse dalla versione 12.3
Dal momento, infine, che UEFI è nato in un clima di libertà, rammento che, una volta si riesca ad entrarci dentro eludendo le trappole escogitate da Microsoft, esso, oltre ad offrirci la possibilità di attivare o disattivare la funzione “secure boot”, ci consente di attivare la funzione “Legacy Boot”: con questa si disabilitano tutte le funzionalità proprie di UEFI e si ripristina qualche cosa di simile alla vecchia modalità BIOS, in modo da permettere il corretto avvio di tutti i sistemi operativi che non supportano UEFI (versioni di Linux precedenti quelle sopra indicate, Windows precedenti a Windows 8, sistemi che ancora non supportano UEFI, ecc.).
Per quanto riguarda i supporti esterni autoavviabili non si dovrebbero avere problemi con i DVD con masterizzata l’immagine ISO, sia in versione destinata all’installazione sia in versione live.
Parlando invece di pennette USB, in generale vale la regola che supporti autoavviabili generati con computer UEFI e con software aggiornato sono utilizzabili, e lo sono solo in ambiente UEFI. Se lavoriamo su un computer con il BIOS possiamo avere qualche problema: per esempio, se creiamo una chiavetta con Unetbootin su un vecchio computer partendo da una immagine ISO di un qualsiasi sistema Linux appena rilasciato, con ogni probabilità ci ritroveremo una chiavetta formattata UEFI che non funzionerà sul nostro vecchio computer BIOS. Per renderla funzionante anche su BIOS ci dobbiamo sorbire la non banale operazione di installazione di GRUB nel Master Boot Record della chiavetta utilizzando le opzioni avanzate del software Boot Repair Disk a 64 bit, di cui ho parlato nell’allegato PDF, intitolato “backup_e_non_solo”, al mio articolo dell’ottobre 2016 “Software libero per aver cura del computer”.
Nel frattempo il mondo del software libero ha fatto omaggio agli utenti Windows di un programmino, chiamato Rufus (l’ultima versione, 2.12, è scaricabile da http://filehippo.com/it/download_rufus/), con il quale è possibile creare, da Windows, chiavette usb avviabili sia con il vecchio BIOS sia con il nuovo UEFI e con installata l’immagine live di un sistema Linux, in modo da provarlo e, volendo, installarlo più o meno a fianco di Windows.
In qualche modo bisogna riconquistarsi la libertà.
Autore: vittorio
Python per tutti
Quando Guido van Rossum, all’inizio degli anni novanta del secolo scorso, ha battezzato il linguaggio di programmazione da lui ideato con il nome di Python intendeva semplicemente rendere omaggio ai Monty Python, un gruppo di comici inglesi che gli piacevano molto.
Dopo un ventennio di dilagante successo di questo linguaggio, si potrebbe pensare che il nome che richiama il pitone sia invece dovuto alla grande flessibilità di cui esso è dotato.
Si tratta, infatti, del linguaggio più facile da imparare e che, nella sua semplicità, manifesta una potenza di prima grandezza per fare di tutto. Al punto da essere diventato il linguaggio ideale per il machine learning.
In questo blog ho già parlato di Python, presentando un mio programmino esemplificativo con cui si gioca a Master Mind. Ho anche proposto una piccola guida per evidenziare le differenze tra la vecchia versione Python 2 e la nuova versione Python 3. Soprattutto ho indicato come e con quali strumenti si possa utilizzare il linguaggio Python su Android. Il tutto avveniva nel giugno 2015 e si trova archiviato nelle categorie Programmazione, Programmi e Suggerimenti.
Mi è venuta voglia di riparlare di Python dopo che, negli ultimi mesi dello scorso anno, è stata finalmente pubblicata la traduzione italiana di un interessante libro del 2015 di Sebastian Raschka, Python Machine Learning, con il titolo Machine learning con Python, Costruire algoritmi per generare conoscenza.
Alan Turing, precursore dell’intelligenza artificiale, diceva che le macchine non possono pensare, però possono fare quello che facciamo noi quando pensiamo. Purtroppo Turing è stato eliminato – mi pare l’espressione giusta per la tragedia che lo ha colpito – prima di poter costatare quanto vere fossero le sue intuizioni.
Infatti non solo la macchina può fare ciò che facciamo noi quando pensiamo ma, in certe situazioni, riesce a farlo meglio.
Consideriamo quanto prima e meglio di un cervello umano una macchina possa analizzare grandi quantità di dati al fine di dedurre modelli di comportamento, tendenze utili a fini previsivi, addirittura ponendo in atto procedimenti e algoritmi per la presa di decisioni basate su come quei dati si presentano e si evolvono: la macchina che impara dall’esperienza.
In epoca di Big Data servono strumenti per fare queste cose e Python si rivela essere uno dei migliori.
Probabilmente il segreto sta nella sua semplicità e nell’essere il linguaggio informatico che più si avvicina alla logica e al linguaggio umano.
Uno scienziato che voglia direttamente lavorare su una ricerca sperimentando algoritmi propri, se usasse un linguaggio di più basso livello come il C dovrebbe perdere gran parte del proprio impegno e del proprio tempo ad occuparsi di informatica: gestione della memoria, uso di puntatori, sintassi ed espressioni strane, ecc. Chi usa un linguaggio come Python è sollevato da tutti questi impicci e si può meglio concentrare sul problema vero.
Peraltro, con le macchine che abbiamo oggi, nessuno riesce veramente ad avvertire i vantaggi, in termini di efficienza e velocità di elaborazione, che ci offre un programma compilato in C rispetto al più lento, si fa per dire, script Python interpretato.
Anzi, il fatto che Python sia interpretato e l’interprete sia dotato di una shell propria con la quale si possono eseguire comandi singoli, offre una preziosa opportunità di apprendimento e di sperimentazione.
Esistono numerosi manuali, anche scaricabili gratuitamente da Internet, sul linguaggio Python ed abbiamo mille modi di impararlo in quanto tale.
Una zona che ritengo presenti qualche situazione di non semplice comprensione è quella di cosa esista attorno a Python e di come Python e i suoi script possano ottimamente interagire con il nostro computer e con il computer di altri.
Ho ritenuto pertanto di dedicare a questi argomenti un manualetto, qui allegato in formato PDF, liberamente scaricabile, stampabile e distribuibile.
Basi musicali, file karaoke e arrangiamenti con il computer
Nell’allegato “musica_suono.pdf” al mio articolo che è archiviato su questo blog con il titolo “Software libero per fare musica” ho accennato all’esistenza del programma MMA Musical MIDI Accompaniment, indicando anche molto sommariamente il modo per farlo funzionare.
Si tratta, a mio avviso, del migliore e meno costoso (è gratis) software per produrre basi musicali armonizzate, file karaoke e arrangiamenti completi di melodia, solo apparentemente più complicato dei concorrenti software con ricche interfacce grafiche.
Rendendomi conto che tra quegli accenni molto stringati ed il voluminoso manuale completo in lingua inglese che troviamo sul sito dal quale possiamo scaricare il programma ci può essere una giusta via di mezzo, anche per sfatare l’apparente difficoltà di utilizzo, ho prodotto il manualetto allegato in formato PDF, liberamente scaricabile, distribuibile e riproducibile.
SQLite, una database per tutti
Qualche tempo fa, nel maggio 2015, al mio articolo che si trova su questo blog con il titolo “Software libero per gestire dati” ho allegato il file PDF “gestione_dati” che contiene quanto strettamente necessario per conoscere, tra l’altro, l’esistenza di SQLite e a cosa possa servire SQLite.
Come per tutti i numerosi software presentati in quella serie di articoli, la finalità era semplicemente quella di conoscere l’esistenza di un certo programma e di conoscere che cosa si può fare utilizzandolo.
Sul come utilizzarlo gli accenni erano molto stringati e, per chi fosse interessato, si rimandava alla documentazione esistente (manuali, guide, tutorial, ecc.).
Per quanto riguarda SQLite, rendendomi conto che questa documentazione è molto frammentata e, quando completa, oltre che essere in lingua inglese, è anche eccessiva e dispersiva per l’utente dilettante evoluto cui si rivolge il mio blog, ho ritenuto utile produrre una guida all’uso a misura, che è contenuta nell’allegato file PDF, liberamente scaricabile, stampabile e distribuibile.
Software libero anche al Comune di Roma
Nella seduta dello scorso 14 ottobre, con deliberazione n. 55, la Giunta Capitolina ha formalmente assunto l’impegno all’uso di software libero o a codice sorgente aperto nell’Amministrazione Capitolina.
Le intenzioni di guardare con attenzione al software libero per le esigenze amministrative del Comune di Roma erano già state manifestate nel febbraio del 2004 dalla compianta Mariella Gramaglia, ai tempi del suo assessorato: ora le intenzioni sono divenute un impegno formalizzato ed anche il Comune di Roma volgerà irrevocabilmente verso l’utilizzo di software libero.
La questione dell’impiego di software libero nella Pubblica Amministrazione, non solo in Italia ma in Europa, ha assunto definitiva importanza all’inizio del millennio, quando la digitalizzazione divenne la via attraverso cui riformare il settore anche al fine di instaurare un nuovo tipo di rapporti con il cittadino.
Le quattro libertà garantite dal software libero:
0: Libertà di eseguire il programma per qualsiasi scopo,
1: Libertà di studiare il programma e modificarlo,
2: Libertà di ridistribuire copie del programma in modo da aiutare il prossimo,
3: Libertà di migliorare il programma e di distribuirne pubblicamente i miglioramenti, in modo tale che tutta la comunità ne tragga beneficio,
unitamente al fatto che ormai non si stava parlando solo delle profezie di Richard Stallman ma si stava toccando con mano l’esistenza di Linux, che proprio grazie alle quattro libertà, in breve volgere di tempo era diventato un sistema operativo libero di tutto rispetto, si sono infatti imposte all’attenzione della Pubblica Amministrazione in quanto potevano consentire a questa di creare lei stessa il software di cui aveva bisogno, adattando alle proprie esigenze software esistente senza bisogno di acquistare licenze e, soprattutto, immunizzandosi dal pericolo di soggiogarsi a ristrette cerchie di fornitori. Di più, con la possibilità di far circolare tra enti diversi le soluzioni create senza dover riconoscere proprietà intellettuali e relativi diritti a chicchessia.
Senza trascurare il fatto che nel momento in cui il processo di digitalizzazione avesse coinvolto i rapporti con il cittadino sarebbe stato anche necessario adeguarsi alla libertà del cittadino di avvalersi di software libero.
Il risultato di tutto ciò sarebbe stata l’affermazione di principi di libertà e trasparenza in un luogo nel quale non ce se ne potrebbe esimere e la realizzazione di notevoli risparmi sul piano economico in un luogo nel quale ce n’è molto bisogno.
Devo riconoscere che nei miei rapporti telematici che fin dalle origini ho instaurato con il fisco e con l’INPS non ho mai avuto problemi ad utilizzare Linux e i software di Mozilla e, per la mia esperienza, devo riconoscere che la Pubblica Amministrazione si è da subito messa, anche concretamente, sulla buona strada.
In Italia il primo solenne riconoscimento del software libero lo troviamo nell’articolo 68 del Decreto Legislativo 7 marzo 2005, n. 82 che istituì il Codice dell’Amministrazione digitale e il secondo importante tassello si è avuto nel 2012 con la creazione dell’Agenzia per l’Italia digitale. Nel citato articolo 68, sostanzialmente, si afferma il principio che gli enti della Pubblica Amministrazione sono tenuti a preferire software libero a software proprietario e possono ricorrere a quest’ultimo ove si dimostri che non c’è altro modo di risolvere l’esigenza informatica.
Sul piano applicativo abbiamo vari episodi di pionierismo. Risalgono al 2001 e al 2002 mozioni per l’adozione del software libero approvate dai Consigli Comunali di Firenze e di Lodi. Nel 2003 la Regione Toscana afferma in una Legge Regionale il principio dell’utilizzo preferenziale del software libero a sorgente aperta.
Da lì in poi sono cominciate le effettive adozioni di soluzioni di software libero nei server (Linux) e negli applicativi (Open Office e Libre Office), concentrate soprattutto nel Nord Est: Comune di Rovereto, Comune di Trento, Provincia di Bolzano, Provincia di Trento.
Buoni esempi dall’estero sono l’adozione di Linux come sistema operativo per l’attrezzatura informatica dell’Assemblea Nazionale Francese nel 2007, l’adozione di Open Office, Firefox e Thunderbird per tutti i punti operativi della Gendarmeria Francese nel 2005 con la sostituzione, negli anni immediatamente successivi, del sistema operativo Windows con il nuovo sistema operativo battezzato GendBuntu, adattamento di Linux Ubuntu alla Gendarmeria: pare che queste operazioni abbiano generato un risparmio di 2 milioni di euro all’anno.
Caso da citare quello del Comune di Monaco di Baviera che avviò la migrazione verso strumenti e impostazioni di software libero nel 2003 e la concluse nel 2013, ben dieci anni dopo. Ciò a motivo di una sospensione del progetto causata da alcuni detrattori che fecero insorgere dubbi su dubbi circa rischi di violazione di diritti di proprietà intellettuale insiti nell’adozione di software libero. Si dimostrò che il software libero è libero anche da questi problemi e si andò avanti: si giunse così al sistema operativo destinato a governare l’apparato informatico del Comune di Monaco di Baviera, chiamato LiMux, il Linux di Monaco. Ma i detrattori non deposero le armi e, nel 2014, scatenarono una nuova offensiva, accampando inefficienze attribuibili al nuovo sistema e presunte incompatibilità di formato tra i documenti prodotti dal Comune e i terzi (più che presunte, false, in quanto il formato ODF, Open Document Format, è ormai riconosciuto anche da MS Office; comunque ci vuole poco ad adeguarsi: basta installare gratuitamente LibreOffice), offensiva tale da far credere che si tornasse a Windows. Francamente non conosco lo stato attuale della diatriba e penso non sia ancora finita.
Forse il progetto di Monaco è stato troppo radicale all’inizio, essendo partito subito dal sistema operativo. Meglio ha fatto il nostro Ministero della Difesa che, seguendo un po’ il percorso della Gendarmeria francese, non è partito dal sistema operativo ma, come primo atto, dalla sostituzione di MS Office con LibreOffice: solo questo provvedimento, una volta che avrà interessato tutti i 150.000 computer del Ministero, si tradurrà in un risparmio di 29 milioni di euro. Poi si vedrà.
Stessa strada mi pare abbia intrapreso il Comune di Torino.
Mi piace comunque concludere citando le parole dell’Assessore a Roma Semplice Flavia Marzano, che di informatica ne capisce parecchio, a commento della recente citata delibera della Giunta Capitolina: “Niente più scelte che vincolino l’amministrazione ad un solo fornitore, ma soluzioni aperte e modulabili nel tempo che permettano un confronto concorrenziale tra diversi operatori. Obiettivo di questo provvedimento, e di questa Giunta, è quello di favorire il pluralismo informatico e la diffusione del software libero nell’amministrazione capitolina come strumento di maggiore efficienza, trasparenza, sostenibilità e indipendenza nell’esercizio delle proprie funzioni”.
Discorso più generale, che apre orizzonti molto più ampi rispetto alla semplice adozione di LibreOffice. Ma più gli orizzonti sono ampi più sono ampi gli interessi che si toccano: Monaco docet.
Intanto noi privati continuiamo ad acquistare, senza avere alcuna possibilità di fare altrimenti, computer dotati del sistema operativo Windows praticamente nudo e crudo, con preinstallati software commerciali in prova per 30 giorni trascorsi i quali dobbiamo pagare per continuare ad utilizzarli.
Quando riusciremo ad acquistare un computer con preinstallata una qualsiasi distribuzione Linux con accessibilità a tutta la serie di programmi di software libero che sono disponibili gratuitamente?
Nel frattempo, teniamoci pure l’Windows che ci hanno tirato dietro, ma interessiamoci dei programmi liberi che funzionano anche su Windows: negli articoli archiviati nella categoria Software libero di questo blog ne presento tanti, che ci consentono di fare di tutto.
Se siamo un po’ più coraggiosi ma abbiamo paura ad abbandonare Windows, cominciamo ad installare al suo fianco un sistema Linux: nell’allegato “Installazione di Linux Mint 18 Sarah” al mio articolo “Benvenuta Sarah” dello scorso luglio spiego come si fa.
Finirà che, come è successo a me, concluderemo col dire che Linux è meglio.
Software libero per aver cura del computer
Sul disco fisso del nostro computer abbiamo il sistema operativo, cioè una serie di file che servono per fare funzionare il computer stesso, abbiamo tutta una serie di programmi applicativi, quelli che servono per fare tantissime cose, come descritto nella serie di articoli sul software libero archiviati su questo blog e, infine, abbiamo i nostri dati: dati che possono essere file di lavoro, come quelli che contengono i conti della nostra azienda o di casa o che contengono la nostra tesi di laurea in corso di elaborazione, o file di archivio, come quelli che contengono raccolte di fotografie, di file musicali, di file video, di ebooks e quant’altro.
Tutto è ospitato, spazio permettendo, sul disco fisso: sistema operativo e programmi applicativi per definizione, file di lavoro per una evidente praticità e file di archivio, soprattutto se parliamo di un computer portatile, per la comodità di avere sottomano, ovunque ci troviamo, tutti i nostri archivi.
Se il disco fisso si rompe – e purtroppo capita, non solo per macchine vecchie – o se ci rubano il computer, perdiamo tutto.
Alla perdita del sistema operativo rimediamo installandone un altro sul nuovo disco fisso o sul nuovo computer; pure alla perdita dei programmi, sia pure con un bel po’ di lavoro se erano tanti, possiamo rimediare reinstallandoli. File di lavoro e file di archivio sono persi irrimediabilmente.
Se si rompe il sistema operativo, cioè se il computer non parte più, esistono modi e strumenti per recuperare i file di lavoro e i file di archivio presenti sul disco fisso prima che l’installazione di un nuovo sistema operativo rischi di cancellarli. Questo rischio è collegato al sistema operativo che andiamo ad installare e a come è organizzato il disco fisso: se il sistema operativo è Windows e tutti i file sono contenuti sul disco in una unica partizione l’installazione cancellerà tutto; se il sistema operativo è Linux – che, come ricordo sempre, è il migliore del mondo – con una certa abilità si potrebbe riuscire a salvare comunque i dati.
Fortunatamente tutti questi disastri o inconvenienti si possono evitare utilizzando software commerciali o liberi che ci aiutano, come si dice, a fare il backup delle nostre cose, praticamente ad avere su un disco diverso da quello inserito nel computer una copia di tutto. Un tempo si facevano i backup su disco floppy o ottico ma ormai le dimensioni dei dati da duplicare e il basso costo dei dischi fissi esterni o delle memorie flash su pennetta fa di uno di questi ultimi supporti quello ideale per ospitare i nostri backup.
Disco esterno o pennetta contenenti i backup andrebbero conservati in luogo diverso da quello in cui si trova il computer, ad evitare che un ladro o un incendio ci freghino computer e backup insieme: a questo proposito vengono molto bene le memorie di massa on-line messe a disposizione da provider di cloud computing.
Fortunatamente può capitare che il danno occorso ad un computer che non si avvia più non sia così grave da dover ricorrere a laboriosi ripristini: si può essere semplicemente cancellato o corrotto il file di boot o può essere intervenuta qualche altra banalità.
Paradossalmente è più difficile, per un dilettante, porre rimedio a questi piccoli inconvenienti che non a quelli più gravi, dove interviene il backup e il ripristino.
Modi e strumenti per fare questo e quello ci sono offerti in abbondanza dal mondo del software libero ed ho ritenuto utile richiamare quelli che mi sembrano i migliori nell’allegato manualetto in formato PDF, scaricabile e stampabile.
Kdenlive sempre meglio, ma solo per Linux
Nel documento in formato PDF, intitolato “multimedialità.pdf”, allegato al mio articolo “Software libero per la multimedialità” archiviato nella categoria “Software libero” di questo blog, ho presentato il software Kdenlive (che sta per KDE non linear video editor).
Considero questo software il meglio che ci sia in circolazione per montare filmati di livello professionale partendo dal materiale più disparato, come video clip di vario formato e risoluzione, fotografie e immagini archiviate in formato fotografico.
Nel maggio 2015, quando ho scritto i richiamati documenti, mi riferivo ad una versione della serie 0.9. Proprio in quei giorni era uscita la versione 15.04.0, la prima del nuovo corso: gli sviluppatori di Kdenlive, da quella versione, cominciarono una numerazione seguendo lo stile della Canonical per Ubuntu (15 sta per anno 2015 e 04 sta per Aprile). Trattandosi di una novità, non solo sul piano della numerazione, a quel tempo ho preferito parlare di qualche cosa di più consolidato e stabile e mi sono riferito alla precedente edizione.
Da quel momento ho tuttavia seguito il nuovo corso e, in poco più di un anno, devo dire che l’intenso lavoro degli sviluppatori di Kdenlive ha prodotto qualche cosa di perfetto.
L’ultima versione è la 16.08.01, rilasciata qualche giorno fa (esattamente l’8 settembre 2016), ed è succeduta, ulteriormente perfezionandola, alla versione 16.08.00, rilasciata il 18 agosto 2016: nella comunità Kdenlive non si sono nemmeno fatte le ferie estive.
E’ una versione che sembra fatta apposta per Ubuntu 16.04 e per Linux Mint 18: temo, anzi, che su precedenti versioni di Ubuntu e di Linux Mint sia meglio affidarsi alla versione presente nel repository.
Per installarla su Ubuntu 16.04 o su Linux Mint 18, nei cui repository c’è una versione precedente, occorre digitare su terminale, con collegamento Internet attivo, quanto segue:
sudo add-apt-repository ppa:kdenlive/kdenlive-stable
sudo apt-get update
sudo apt-get install kdenlive
Purtroppo per chi non usa Linux, non ci sono tutte queste novità. Su MacPorts penso che la più recente versione disponibile per Mac OS X sia la 15.04. Per Windows occorre sempre ricorrere alla Virtual Box con una versione della serie 0.9. Pare comunque che gli sviluppatori di Kdenlive siano intenzionati a produrre, a breve, qualche cosa di bello anche per Windows.
La conclusione, per intanto, è che, per godere appieno dell’ultimo grido di Kdenlive dobbiamo avere il sistema operativo Linux: non dico di fare come me, che non uso più Windows da anni, ma almeno installiamo Linux di fianco a Windows sul nostro computer oppure mettiamolo su una chiavetta USB. Spiego come si può fare tutto questo nel manualetto “installazione_linux_mint_18_sarah.pdf” allegato al mio articolo “Benvenuta Sarah” pubblicato lo scorso Luglio su questo blog e archiviato nella categoria “Software libero”.
Ma vediamo cosa ci offre la nuova versione di Kdenlive.
Sul piano puramente estetico abbiamo la possibilità di scegliere tra alcuni temi e stili per l’interfaccia grafica: a me piace molto il tema Breeze Dark con lo stile Breeze.
Per quanto riguarda l’editing delle clip e il loro montaggio tutto rimane praticamente come prima e valgono i richiami e i suggerimenti che si trovano nel mio già citato documento “multimedialità.pdf”: unica bella novità la possibilità di scegliere le transizioni e le loro proprietà su elenchi che ai soliti nomi inglesi, a volte incomprensibili, abbinano piccoli schemi illustrativi che danno l’idea di che cosa produce la transizione che andiamo a scegliere.
La funzione di conversione del formato delle clip si è arricchita di alcune voci, tra cui le quattro DVD NTSC e PAL nei rapporti di aspetto 16:9 e 4:3, già presenti nelle precedenti versioni ma nascoste nella procedura di creazione del DVD.
Le più grosse novità, per un utente dilettante, riguardano il momento della produzione del risultato del montaggio: esportazione, o rendering, che dir si voglia. Il menu di scelta si è semplificato ed arricchito nello stesso tempo. Semplificato in quanto le opzioni ci vengono presentate in raggruppamenti tipologici, arricchito in quanto troviamo cose che non c’erano prima. I raggruppamenti sono:
– Generic (HD per il web, per computer e mobile) che ci offre i formati WebM, MP4 e MPEG-2;
– Ultra High Definition (4K) che ci offre i formati WebM-VP9 e MP4-H265;
– Old TV definition (DVD, ecc.) che ci offre i formati VOB per DVD, Flash, MPEG4-ASP/MP3 compatibile DivX e Windows Media Player;
– Losless HQ che ci offre i formati FFV1, H264 e HuffYUV.
Altra semplificazione riguarda il fatto che, una volta scelto il formato che ci interessa, non avremo più il problema di indicare separatamente i parametri per ottenere la qualità desiderata (bitrate, ecc.) ma ci basterà posizionarci in una delle cinque possibili tacche del cursore Quality: l’ultima corrisponde all’eccellenza, la quarta, penultima, corrisponde ad una qualità elevata e quella di mezzo, la terza, corrisponde ad una qualità buona ed accettabile: il tutto a bitrate variabile automaticamente governato dal programma. Con il risultato che i file prodotti saranno, a parità di qualità, meno pesanti, anche di molto: un filmato di un minuto codificato con un vecchio Kdenlive a bitrate fisso 2.000 in MPEG-4 pesava 16,2 MB; lo stesso prodotto con il nuovo Kdenlive a qualità elevata e bitrate variabile automatico in MP4 pesa 9,7 MB.
Questo formato MP4 (H264/AAC), peraltro definito da Kdenlive come “dominating format”, che corrisponde al formato MPEG-4 Part 14 e non al vecchio MPEG-4, è una delle grandi novità che troviamo nei Kdenlive di ultima generazione: è un contenitore che, a parità di qualità, abbatte notevolmente il peso dei file, solo facendoci pagare tutto ciò con un minimo allungamento del tempo richiesto dal rendering.
Altra grande novità la comparsa dei formati per l’Ultra HD 4k.
Come sempre, per i maghi che conoscono i segreti della piattaforma MLT (Media Lovin’ Toolkit) su cui si basa Kdenlive, esiste la possibilità di programmare profili di produzione personalizzati.
Siamo peraltro in presenza di un software che ha il vantaggio di porsi alla portata del dilettante ma che non fa mancare nulla al professionista.
Il grande difetto di questo mondo MLT è la scarsità di documentazione. Lo stesso manuale Kdenlive presente sul sito da cui possiamo scaricare la versione 16.08.01 è fermo ad una versione vecchia di almeno otto mesi.
Ricordiamo, comunque, che siamo in presenza di software libero, prodotto da appassionati volontari e che, nonostante ci offra ciò che troviamo in costosissimi software commerciali professionali, non ci costa nemmeno un euro.
Benvenuta Sarah
Era stato promesso per giugno ed è arrivato in extremis, il 30 giugno, il rilascio di Linux Mint 18, chiamato Sarah.
Ci viene offerto nelle due versioni di ambiente desktop Mate e Cinnamon, quest’ultimo più di casa per la comunità Mint e mio preferito, e nelle due versioni a 32 e 64 bit.
Non potevo ignorare l’avvenimento in quanto Linux Mint è quella che considero la migliore distribuzione Linux esistente: mi rendo conto che si tratta in gran parte di una questione di gusto ma c’è anche un apprezzamento per alcune doti non secondarie, come l’accuratezza con la quale tutto il sistema viene assemblato, con tutte la traduzioni che servono, e tante piccolezze che ti danno la sensazione di una cosa curata nei minimi particolari.
Rispetto a papà Ubuntu inoltre, soprattutto da quando è là subentrato l’ambiente desktop Unity, è molto più facilmente personalizzabile per quanto riguarda l’organizzazione del menu.
Ma lasciamo questi aspetti, che, ammetto, sono più estetici che di sostanza.
La sostanza è che Mint 18, Sarah, è basato su Ubuntu 16.04 LTS e godrà pertanto di un supporto quinquennale di assistenza e di aggiornamenti.
Il kernel Linux è il 4.4.
I requisiti hardware per un funzionamento ottimale sono simili a quelli richiesti da Ubuntu 16.04 (1 GB di RAM, risoluzione schermo 1024×768); Sarah si comporta tuttavia molto bene anche con 512 MB di RAM e si fa vedere anche con risoluzione schermo 800×600 (premendo ALT si può eventualmente trasportare la finestra in modo da vedere anche cose che potrebbero rimanere fuori dallo schermo). Sono pertanto requisiti più da Xubuntu che da Ubuntu e li troviamo soddisfatti anche su computer vecchiotti.
Possiamo scaricare l’immagine ISO da qui : la versione a 32 bit occupa 1,6 GB e la versione a 64 bit occupa 1,7 GB. Per la masterizzazione dell’immagine occorre pertanto un DVD.
Sullo stesso sito, se non siamo attrezzati per un ragionevolmente rapido download, possiamo acquistare il DVD già masterizzato spendendo attorno agli 11 dollari, per metà dovuti alle spese di spedizione, e nel giro di una settimana avremo in casa il disco.
Il disco, masterizzato da noi con l’immagine scaricata o acquistato già masterizzato, ci offre la possibilità di provare il sistema operativo e, se ci piace, soprattutto se vediamo che funziona sul nostro computer, di installarlo.
Per utilizzare il disco occorre avviare il computer con il disco inserito. Nel caso non succeda nulla di diverso dal solito, cioè nel caso il computer si accenda presentandoci il sistema operativo consueto, vuol dire che esso non è configurato in modo da prendere il boot da CD/DVD ed allora dobbiamo predisporlo in tal senso intervenendo sul BIOS secondo la procedura ben descritta nell’articolo che troviamo qui .
Se invece tutto va bene, con la lentezza dovuta alla necessità di leggere e caricare dati nella RAM del computer dal DVD, dopo qualche minuto potremo ammirare il desktop di Linux Mint 18, Sarah, pienamente funzionante.
Scorrendo il menu vediamo che abbiamo già quanto serve per fare praticamente di tutto sul PC.
Per l’ufficio abbiamo un lussuoso LibreOffice 5 completo e un lettore di PDF.
Per Internet abbiamo il browser Firefox e il server di posta Thunderbird.
Per la grafica abbiamo il superlativo GIMP per la manipolazione di immagini, oltre ad un semplice visualizzatore di immagini e ad un visualizzatore/organizzatore di immagini, molto spartani ma efficienti.
Per l’audio/video abbiamo un lettore/organizzatore di media musicali, un riproduttore di video e un software per la masterizzazione di CD/DVD.
A proposito di media, l’immagine di base del sistema operativo scaricata o che troviamo masterizzata sul DVD, a differenza di quanto avveniva in precedenti edizioni di Mint, non contiene alcun codec (il software che serve per riconoscere i vari formati di file multimediali) e pertanto i riproduttori di media installati non riproducono nulla fino a quando non avremo installato i codec.
Per farlo intanto che proviamo il sistema, essendo collegati a Internet, andiamo nel menu Sound & Video e scegliamo Install Multimedia Codecs.
Sempre in sessione di prova possiamo anche installare, essendo collegati a Internet, altri programmi da sperimentare: basta che andiamo nel Software Manager cliccando sulla relativa icona nella schermata del menu.
Teniamo conto del fatto che tutto ciò che installiamo durante la sessione di prova, dai codec ai programmi, è volatile e lascia inalterato il nostro DVD. Pertanto, una volta spento il computer, al successivo rilancio del sistema con il DVD di tutte le nostre installazioni precedenti non ci sarà alcuna traccia.
Tutto ciò serve a dire che, se vogliamo veramente utilizzare il nostro Linux Mint 18 Sarah, non possiamo certamente farlo con il DVD ma dobbiamo installarlo sul disco fisso del computer o su una pennetta USB, supporti che, tra l’altro, renderenno molto più veloce e fluido lavorare rispetto a farlo con il sistema caricato da DVD.
Soprattutto, i nuovi programmi che installeremo e tutti i nostri file rimarranno permanentemente installati e li ritroveremo alla riaccensione del sistema.
A chi voglia fare il passo offro nell’allegato file PDF, scaricabile e stampabile, un manualetto da seguire per il non difficile ma nemmeno banale procedimento di installazione. Per quanto ovvio, dal momento che durante l’installazione si possono compiere errori le cui conseguenze comportano la perdita di dati o di sistemi operativi, declino ogni responsabilità mi si volesse imputare e raccomando a chi voglia avventurarsi un preventivo backup su supporto esterno del sistema su cui si andrà ad operare: almeno una copiatura dei propri file di lavoro o di archivio dal disco fisso ad un supporto esterno.
Una volta installato Linux Mint 18 Sarah lo si potrà arricchire seguendo le proposte che si trovano in tutta la serie di articoli archiviati in questo blog nella categoria Software libero.
Buon Linux.
Matematica e statistica con Calc
Sono parecchi i software dedicati alla matematica ed alla statistica.
Da appassionato di software libero non posso non citare Maxima (con il suo semplificante ad interfaccia grafica wxMaxima) e Gretl. Maggiori riferimenti su questi software si trovano nel file PDF allegato al mio articolo “Software libero per calcolare” pubblicato in questo blog e archiviato nella categoria “software libero”. Senza nulla togliere, ovviamente, ai vari Scilab, Matlab, Derive, ecc.
Con questi software si può fare proprio tutto.
Con un foglio di calcolo, come Calc, non possiamo fare tutto: per esempio non possiamo fare calcolo simbolico ma dobbiamo trattare solo numeri. Il che, comunque, non è poco; anche perché, nel tempo, i fogli di calcolo si sono arricchiti di formule e funzioni che ci permettono di compiere analisi numeriche veramente interessanti e sofisticate, molto spesso con difficoltà inconsistenti.
Proprio l’abbondanza di formule e funzioni contenute nei moderni fogli di calcolo mi ha spinto a proporre la selezione contenuta nel lavoro allegato, tendente a far emergere quali siano le più interessanti e proficue in relazione ad alcune delle più ricorrenti finalità dell’analisi numerica.
Gli esperti – e ce ne sono sicuramente tanti più di me – molto probabilmente non troveranno qui nulla che già non sappiano.
I neofiti, siano essi studenti o dilettanti, troveranno invece certamente qualche cosa di utile e scopriranno quanto troppo spesso sia sottoutilizzato quel formidabile strumento che è il foglio di calcolo.
Il foglio di calcolo, chiamato anche foglio elettronico (in inglese spreadsheet), nasce da un’idea del professore universitario Dan Bricklin poi concretizzatasi, con l’aiuto di Bob Frankston, nel prodotto VisiCalc reso disponibile nel 1979 per il computer Apple II e nel 1981 per il PC IBM.
A partire dal 1983 VisiCalc fu soppiantato da un prodotto della Lotus, chiamato 1-2-3, molto più compatto e veloce, poi incluso anche nella suite per ufficio Symphony.
Nel frattempo IBM dotava i propri PC con sistema operativo DOS della serie Assistant, una suite per ufficio che conteneva una sorta di foglio di calcolo molto rudimentale, Planning Assistant.
Tutto venne sbaragliato con il rilascio, il 30 settembre 1985, di Microsoft Excel da parte della Microsoft Corporation. Il successo di Excel fu in gran parte dovuto al fatto di essere il primo foglio di calcolo che si adattava al neonato ambiente operativo Windows del sistema operativo MS-DOS.
Nel frattempo si sono susseguiti altri tentativi di produzione di software di questo tipo.
Nel 1988 ci provò la Borland con Quattro, poi divenuto Quattro Pro, finito nella suite WordPerfect della Novell e finalmente nella suite WordPerfect Office della Corel.
Nella stessa epoca vede la luce il foglio elettronico Calc incluso nella suite StarOffice, sviluppata dalla tedesca StarDivision poi acquisita dalla Sun Microsystem che, nel 2000, rilasciò i sorgenti di StarOffice alla comunità open source dando così vita al progetto OpenOffice. Da questo ceppo nascono i fogli di calcolo oggi inclusi nelle suite Apache OpenOffice, LibreOffice e NeoOffice, specificamente dedicata a Mac OS X, tutte rilasciate con licenza libera. Il foglio Calc di queste suite è in tutto equivalente a Microsoft Excel, con il quale può interscambiare i file.
Il mondo del software libero open source, a partire dal 1998, ha sviluppato e mantiene tuttora un altro foglio di calcolo, Gnumeric, in tutto simile ai citati più evoluti, con la sola eccezione che gli manca la funzione per elaborare tabelle pivot.
Il testo allegato fa esclusivo riferimento al foglio Calc di LibreOffice e gli utenti di Excel, se avranno la pazienza di leggerlo, si accorgeranno che Calc non ha assolutamente nulla da invidiare a Excel, anzi…
Rammento che Calc di LibreOffice è identico a Calc contenuto in OpenOffice e che tutti questi software liberi si possono scaricare facilmente da Internet e sono disponibili per tutti i sistemi operativi per PC, Linux, Mac OS X e Windows.
Il file PDF allegato è liberamente scaricabile, stampabile e distribuibile.
Compatibilità tra file system
Frequentando i vari forum dedicati a Linux ci troviamo spesso di fronte a disperate segnalazioni della lentezza con cui a volte avviene il trasferimento o la copiatura di file di dimensione elevata dal nostro computer Linux a supporti esterni (pennette, dischi esterni, ecc.): al punto che ho trovato un caso in cui una sfortunata esperienza di questo tipo ha suscitato grande delusione ed è stata motivo di abbandono del sistema Linux e di ritorno a Windows da parte di un utente.
Peccato! perché, anche con questo inconveniente, Linux, come ripeto sempre, rimane il miglior sistema operativo del mondo ed è infatti l’unico sistema operativo che nativamente, cioè senza bisogno di software aggiuntivo, può leggere e scrivere dati su supporti formattati per altri sistemi operativi.
Cioè a dire: se da Windows vogliamo copiare un file su un supporto formattato per Linux, il supporto manco lo vediamo; con un software aggiuntivo gratuito possiamo vederlo e trattarlo in sola lettura; con un software parecchio costoso possiamo provare anche a scriverci sopra, con i tempi che ci passerà il convento. Da Linux, invece, possiamo copiare i file dove vogliamo: se ci capita di copiarne uno di parecchie decine di MB su un supporto formattato NTFS (il file system corrente per Windows) può darsi che ci tocchi di metterci un po’ di tempo. Tutto qui.
Ma vediamo di capirci qualche cosa in più, anche per saperci regolare.
File system usati e riconosciuti dai vari sistemi operativi
Il file system è il modo con cui i file sono organizzati su un dispositivo di archiviazione. Ciascun sistema operativo ha un suo modo di archiviare innanzi tutto i file che lo costituiscono.
Attualmente Linux utilizza il sistema ext4, Windows utilizza il sistema NTFS e Mac utilizza il sistema HFS+.
Quando il sistema operativo si collega ad un supporto diverso da quello su cui sono memorizzati i suoi file (altra partizione dello stesso disco, disco esterno, pennetta USB, ecc.) si aspetta innanzi tutto di trovare su questo supporto lo stesso tipo di organizzazione dei file oppure un tipo di organizzazione della stessa natura: per Linux si tratta dei sistemi ext2 e ext3, per Windows si tratta del sistema FAT32, per Mac si tratta del sistema HFS. Questi sistemi sono rispettivamente precedenti edizioni dei sistemi attuali, con i quali sono perfettamente compatibili, soltanto meno efficienti e, soprattutto, con alcune limitazioni riguardanti la dimensione massima dei file memorizzabili.
Lettura, trasferimento e copiatura di file avendo a che fare con supporti con questo tipo di compatibilità vengono realizzati con la massima velocità.
Ciascun sistema operativo, poi, si comporta in una certa maniera se il supporto diverso da quello su cui sono memorizzati i suoi file ha anche un diverso tipo di organizzazione dei file. In particolare:
. dal sistema Linux si può leggere e scrivere anche su sistemi FAT32 e NTFS (quelli di Windows), pur con l’inconvieniente della lentezza di scrittura cui si accennava prima nel caso di NTFS, e su sistemi HFS e HFS+ (quelli di Mac), in quest’ultimo caso in sola lettura se journaled;
. dal sistema Windows si può leggere e scrivere solo su sistemi FAT32 e NTFS; con gli accessori gratuiti Mini Tool Partition Wizard e HFS Explorer con Java si può rispettivamente andare in sola lettura anche su ext2, ext3 ed ext4 (quelli di Linux) e HFS (uno di quelli di Mac); per andare su HFS e HFS+ (quelli di Mac) in lettura e scrittura occorre arricchire Windows di costosi software commerciali (MacDrive o Paragon HFS);
. dal sistema Mac si può leggere e scrivere su FAT32 (uno di quelli di Windows) e, da OSX “Leopard” in poi, anche su NTFS (l’altro di Windows).
Come si vede, il tipo di organizzazione dei file che si presta meglio ad un interscambio tra sistemi operativi è il FAT32, sul quale leggono e scrivono senza problemi tutti i tre sistemi operativi che fanno funzionare i personal computer. Unici difetti quello di essere un file system di vecchia concezione, meno efficiente di quelli che sono venuti dopo e, per gente esosa, quello di supportare una capacità massima di memorizzazione di 1 TiB e di poter memorizzare file di dimensione massima di 4 GB ciascuno. Grande pregio quello di essere il sistema riconosciuto da lettori USB diversi dai computer (lettori MP3, lettori DVD con presa USB, ecc.).
Nessun dubbio sul fatto che, se ci riferiamo a pennette USB, il FAT32 è il meglio in quanto i difetti praticamente non si avvertono e il pregio si esalta.
Se ci riferiamo a dischi esterni o a partizioni su dischi condivisi da sistemi operativi diversi il problema si complica e siamo sicuramente attratti da NTFS, a causa della sua maggiore efficienza sotto Windows, però con il citato inconveniente sotto Linux.
Formattazione dei supporti dai vari sistemi operativi
La struttura del file system viene impostata con la così detta formattazione del supporto di memorizzazione.
Il sistema operativo è dotato di tools per la formattazione, attraverso i quali ciascun sistema, oltre a realizzare la formattazione per il proprio file system, può realizzare altri tipi di formattazione. In particolare:
. dal sistema Linux si può formattare anche in FAT32 e NTFS (i sistemi di Windows) e, previo caricamento dal gestore software del programma hfsprogs, in HFS+ (quello di Mac);
. dal sistema Windows arricchito del software gratuito MiniTool Partition Wizard si può formattare anche in ext2, ext3 ed ext4 (i sistemi di Linux) e installando il software commerciale a pagamento Mac Drive, si può formattare anche in HFS+ (quello di Mac);
. dal sistema Mac si può formattare anche in FAT32 e, con software aggiuntivi, anche in NTFS (Windows) e ext2, ext3 ed ext4 (i sistemi di Linux).