Rhino Linux: una reinvenzione di Ubuntu

Oltre ad avere derivate così dette ufficiali distribuite da Canonical (Kubuntu, Xubuntu, Lubuntu, Ubuntu Studio, Ubuntu MATE, Ubuntu Budgie e Ubuntu Kylin) Ubuntu costituisce la base di un’altra quarantina di distribuzioni Linux, tra le quali la più famosa è Linux Mint, manutenute e distribuite da altrettante comunità.
Sono tante, forse fin troppe, ma ciò che proviene dalla libertà è sempre gradito.
Sta di fatto che, come si suol dire, se non è zuppa è pan bagnato.
Alcune si presentano meglio di altre, alcune sono più personalizzabili di altre, alcune richiedono meno potenza elaborativa di altre, alcune sono pensate per fare determinate cose più di altre, ma praticamente fanno tutte le stesse cose più o meno nello stesso modo.
Da alcuni mesi ne circola una che spicca per la propria originalità: Rhino Linux.
Dal momento che questa volta c’è veramente qualche cosa di diverso che richiede un certo spazio per essere illustrato, lo faccio nell’allegato manualetto, liberamente scaricabile, stampabile e distribuibile.

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Scrivere musica con ABC

In un mio manualetto, intitolato “scrittura”, allegato all’articolo “Software libero per scrivere” del febbraio 2015, che si trova archiviato in questo blog, nel Capitolo 3 ho presentato due formidabili strumenti di software libero per scrivere musica, uno funzionante da riga di comando, Lilypond, il cui utilizzo può essere facilitato da un editor, chiamato Frescobaldi, e l’altro funzionante in modo visuale attraverso ampio uso del mouse in una GUI, Muse Score.
In allegato ad un altro articolo del marzo 2022, intitolato “Latex e la musica” si trova un altro manualetto, intitolato “musica_latex”, dove parlo, tra l’altro, di come si possa utilizzare Lilypond in un contesto Latex per scrivere documenti che parlano di musica.
Come strumento per scrivere spartiti musicali lavorando con testo e tastiera il linguaggio Lilypond, di cui ho presentato le impostazioni di base nei citati manualetti, è di una certa difficoltà, difficoltà ovviamente crescente in proporzione alla complessità degli spartiti da scrivere, ma i risultati sono eccellenti e degni della più alta professionalità tipografica.
Sempre nel mondo del software libero abbiamo un’alternativa a Lilypond, che utilizzando un linguaggio forse un tantino semplificato rispetto a Lilypond, porta a risultati comunque di tutto rispetto, peraltro impiegando risorse risibili: basta infatti avere sul computer un paio di file che complessivamente occupano circa 3 MB.
Sto parlando di ABC notation, cui dedico l’allegato manualetto, che contiene quanto necessario e sufficiente per fare qualche cosa di non troppo difficile, tanto per cominciare.
Al solito, il manualetto è scaricabile, stampabile e distribuibile senza problemi.
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Code::Blocks, ingiustamente dimenticato

Ho un nipote che ha recentemente avviato un corso universitario di informatica durante il quale verrà utilizzato il linguaggio C++.
L’insegnante ha consigliato gli allievi di dotarsi di un sistema operativo Linux e, per quanto riguarda il linguaggio C++, dell’editor Visual Studio Code.
Mentre trovo lodevole il primo consiglio non riesco a comprendere la logica del secondo.
Non mi pare infatti giusto mischiare il più bel sistema operativo del mondo con un software Microsoft, che sarebbe ormai meglio chiamare Macrosoft, visto che tutto quello che esce da questa azienda è inutilmente gigantesco e richiede sempre più risorse (da qui, ovviamente, la preinstallazione di Windows su tutti i personal computer: dopo due/tre anni di sistema operativo Windows o sei un mago o cambi il computer).
Anche perché, nel caso specifico, c’è un’ottima alternativa che si chiama Code::Blocks.
Rispetto a Visual Studio Code, che, già pesante per sé stesso, per darci la code completion deve essere ulteriormente arricchito dell’estensione C/C++, occupa meno di un decimo dello spazio su disco, richiede metà RAM, fa la code completion senza bisogno di estensioni e, con qualche estensione, può fare molte cose di più di ciò che fa Visual Studio Code.
A questo gioiello dedico l’allegato manualetto, liberamente scaricabile, stampabile e distribuibile.

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Intelligenza artificiale libera

Il 2023, che sta per finire, è stato l’anno in cui si è creata la diffusa consapevolezza dell’esistenza dell’intelligenza artificiale.
Da tempo esistono robot più o meno “intelligenti”, da tempo esistono automobili che correggono lo sterzo se ci avviciniamo troppo alla riga bianca senza avere attivato la freccia, ma, nell’era delle chat, ci voleva un robot che chattasse con noi per dimostrare al di là di ogni dubbio che l’intelligenza artificiale è con noi.
Indubbiamente l’azione dei robot e la correzione dello sterzo possono essere visti come perfezionamenti di automatismi su base meccanica che nulla hanno a che vedere con l’intelligenza artificiale, anche se non è vero.
Ma quando siamo di fronte ad una macchina che risponde a una nostra domanda, ad una macchina che trasmette pensiero, non abbiamo più dubbi che si tratti di intelligenza e persino tendiamo a dimenticare che si tratta comunque di intelligenza artificiale, frutto di elaborazioni in tutto simili a quelle da cui deriva la correzione dello sterzo.
Si scatenano in questo modo discussioni che portano fuori dalla realtà e allarmismi esagerati su ciò che potrà succedere.
Ma non voglio parlare di questo, anche perché c’è chi lo fa meglio di me. Basti leggere il gustosissimo libro, da poco uscito, “In principio era ChatGPT” di Mafe de Baggis e Alberto Puliafito, edito da Apogeo.
Per parte mia, in questo blog dedicato al software libero, vorrei solo presentare alcune realizzazioni di intelligenza artificiale basate su software open source e lo faccio nell’allegato opuscolo, liberamente scaricabile, stampabile e distribuibile.

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Grafica con Red

Lo scorso mese di ottobre ho proposto un manualetto che illustra le basi del nuovo linguaggio di programmazione Red, limitandomi a come si possano produrre con questo linguaggio programmi console, cioè eseguibili avendo come interfaccia il terminale.
Ma con Red possiamo fare molto anche, e probabilmente molto di più, in campo grafico, sia per arricchire i nostri programmi di interfaccia utente grafica (GUI) sia per disegnare.
A questo dedico l’allegato manualetto, liberamente scaricabile, stampabile e distribuibile.

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Red: un linguaggio rivoluzionario

Lo scorso mese di settembre ho parlato di uno dei più vecchi linguaggi di programmazione, il linguaggio LISP.
Oggi parlo dell’ultimo nato, anzi di un linguaggio che, nonostante il suo creatore ci lavori da oltre un decennio, è tuttora in gestazione e non ha ancora avuto un rilascio definitivo stabile: il linguaggio Red.
Dal momento che pare siamo alla vigilia di questo rilascio e che quanto è già disponibile ci consente di capire che cosa ci aspetta e di divertirci a fare qualche programmino, dedico l’allegato manualetto al funzionamento di base di questo rivoluzionario linguaggio.
Come sempre il manualetto è liberamente scaricabile, stampabile e distribuibile.

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Ancora Lisp

In questo blog ho parlato di Lisp in un paio di occasioni.
La prima, nel maggio 2015, con il post dal titolo “Lisp sempreverde”, nel quale ho presentato una versione abbastanza recente del Lisp, Newlisp, in maniera molto sommaria.
A questa superficialità ho cercato di rimediare nell’ottobre 2019 con il post dal titolo “Newlisp”, con allegato un manualetto in cui si spiega meglio questa bellissima e facile versione del Lisp, che rende meno faticoso avvalersi di uno dei più vecchi e originali linguaggi di programmazione.
Visto che si tratta del linguaggio che, concepito per l’intelligenza artificiale, ancora non ha rivali degni di nota in questo campo sempre più in fermento, sento il dovere di proporre nel manualetto allegato una descrizione del funzionamento di una delle più diffuse e utilizzate versioni del Lisp, il Common Lisp, che è il più legittimato erede del Lisp originario.
Come sempre il manualetto è liberamente scaricabile, stampabile e distribuibile.

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AV Linux sempre meglio

Con il mio articolo “AV Linux alla riscossa”, pubblicato su questo blog nel marzo 2020, esprimevo il mio compiacimento per la scoperta di un rilascio del sistema operativo AV Linux del 2019 che riscattava un passato in cui quel sistema era pieno di difetti ed era surclassato da Ubuntu Studio e da KXStudio.
Sto parlando dei sistemi a bassa latenza che il mondo Linux mette a disposizione di chi fa multimedialità, soprattutto musica.
Subito dopo la pubblicazione di quell’articolo è stata abbandonata la riproposizione di KXStudio e le perle di questa distro sono confluite nel grande repository Debian, rendendosi disponibili per i due restanti sistemi a bassa latenza Ubuntu Studio e AV Linux, entrambi basati, appunto, su Debian.
Ho parlato di questo in un altro articolo “Benvenuto Ubuntu Studio”, pubblicato su questo blog nel maggio 2020, in occasione del rilascio di Ubuntu Studio 20.4.
Nel frattempo Ubuntu Studio, che ha compiuto i 15 anni di vita nel 2022, ha continuato ad aggiornarsi in parallelo al rilascio delle distro Ubuntu e, proprio alla fine di quel 2020 cui risalgono i citati articoli, ha abbandonato il tradizionale desktop xfce per vestirsi con il desktop KDE: lavorare oggi in Ubuntu Studio è come lavorare nel compianto KXStudio.
Rimane sempre una distro fin troppo ricca, pesante, che occupa oltre 12 GB alla prima installazione e la cui immagine ormai non entra più su un DVD, superando i 5 GB.
Anche AV Linux si è aggiornato e attualmente si chiama AV Linux MX, essendosi appoggiato all’ottimo e scattante sistema operativo Linux MX, basato su Debian, con kernel Linux Liquorix a bassa latenza e desktop xfce.
Dal momento che i creatori della moderna DAW Harrison Mixbus lo hanno scelto come sistema Linux consigliato per i suoi utenti, ne troviamo preinstallata una versione di prova (la Harrison Mixbus è infatti a pagamento).
A differenza di Ubuntu Studio, il software preinstallato è il minimo indispensabile ma gli arricchimenti possibili sono tantissimi, grazie all’agevole accesso al repository Debian attraverso Synaptic.
Dovendo scegliere tra Ubuntu Studio e AV Linux MX, oggi come oggi, sceglierei sicuramente quest’ultimo.

Deep learning con Python

Quando un computer trae dall’analisi dei dati che gli diamo in pasto la capacità di classificarli, interpretarli o, addirittura, di prevedere altri dati, alle relative procedure si usa dare il nome di machine learning.
Nel manualetto “python_data_science” allegato al mio articolo “Python per la data science” pubblicato su questo blog nel dicembre 2021, ho presentato, ad uso di dilettanti principianti, alcuni moduli del linguaggio di programmazione Python concepiti per fare queste cose.
Le esemplificazioni che ho portato in quel manualetto riguardano processi di apprendimento abbastanza semplici, per lo più attinenti dati numerici collocati in piccoli dataset o brevi testi, in modo che le relative sperimentazioni siano eseguibili su computer di potenza media.
Lo scorso mese di maggio, in un altro manualetto intitolato “google_colab”, allegato al mio articolo “Se il nostro computer non ce la fa”, ho presentato la possibilità di trasferire queste sperimentazioni su un servizio di cloud computing di Google, che si chiama Google Colaboratory.
Il vantaggio è innanzi tutto quello di poter lavorare su masse di dati più voluminose, ma questo è il vantaggio più banale.
Il vero vantaggio è quello di poter lavorare su dati non solo numerici o di testo ma anche di suono o grafici e con metodologie e potenze di calcolo adatte a questo tipo di dati.
Metodologie che sostituiscono all’algebra lineare l’algebra tensoriale e attraverso le quali si compiono analisi con procedimenti che imitano il funzionamento del cervello umano e che richiedono al computer capacità elaborativa non più da computer di bassa o media potenza.
A tutto ciò si dà il nome di deep learning.
Pur avendo a che fare con una materia che esula dalle capacità e forse anche dall’interesse dei dilettanti cui mi rivolgo, faccio un tentativo di divulgazione con l’allegato manualetto, anche finalizzato a far conoscere fin dove arriva il software libero.

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Se il nostro computer non ce la fa

Nel manualetto “python_data_science” allegato al mio articolo “Python per la data science” del dicembre 2021 ho presentato i principali strumenti che il linguaggio di programmazione Python mette a disposizione per l’analisi di grandi masse di dati, quelli che a qualcuno piace chiamare big data.
In quel manualetto le esemplificazioni sull’uso di alcuni strumenti di machine learning sono riferite a piccoli dataset e funzionano benissimo anche su un computer di bassa potenza.
Se il data set si allarga e i dati da alcune unità diventano decine, centinaia o addirittura migliaia può accadere che i nostri computer casalinghi comincino ad arrancare o non ce la facciano proprio più e, come si suol dire, si impiantino.
Per non parlare di cosa succederebbe se ci avventurassimo nel deep learning.
Un professionista che vive di queste cose può non avere problemi ad attrezzarsi con macchine più potenti, ma un dilettante che voglia semplicemente fare qualche prova o uno studente che debba svolgere una esercitazione si possono trovare spiazzati.
Fortunatamente, se costoro lavorano con il linguaggio Python, possono trovare una soluzione al loro problema ricorrendo ad uno strumento che Google allinea tra i tanti che costituiscono la sua piattaforma di cloud computing: Google Colaboratory, altrimenti noto come Google Colab.
A Google Colab dedico l’allegato manualetto, come sempre liberamente scaricabile, stampabile e distribuibile.

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