Allarmismi senza costrutto

Il Corriere della Sera del 15 gennaio 2016 apre la pagina 41 annunciando che “Il personal computer è morto (ed è colpa dell’iPhone)”.
Come abbia fatto un telefonino, sia pure smart (l’iPhone è uno smartphone), che, peraltro, ha una quota di mercato solo del 16%, ad uccidere il personal computer lo sa solo m.penn che firma il trafiletto a commento di questo annuncio funebre.
Forse voleva dare la colpa all’iPad, che, quanto meno, assomiglia di più a un PC e c’è stato un lapsus: anche qui, tuttavia, saremmo di fronte ad un dispositivo che ha una quota di mercato solo del 25% e, pertanto, non è così potente da ammazzare alcunché.
A meno che giochi la volontà di attribuire per forza qualche merito ulteriore al compianto Steve Jobs, che di meriti ne ha già tanti e non ha certo bisogno anche di questo.
La verità è che, nel 2011 per la prima volta, avvenne il sorpasso sulle vendite di personal computer da parte delle vendite di così detti dispositivi mobile (non solo quelli della Apple con la i iniziale ma tutti): infatti, contro 415 milioni di personal computer, vennero venduti 550 milioni tra smartphone (488 milioni) e tablet (62 milioni).
Nel 2015 pare che, più o meno, siano stati venduti 335 milioni di personal computer (115 milioni desktop, 165 milioni portatili e 55 milioni ultrabook) contro 2.270 milioni di dispositivi mobile (1.950 milioni smartphone e 320 milioni tablet).
Se, allora, analizziamo un po’ meglio la realtà delle cose vediamo che il personal computer tradizionale, in quattro anni, non è affatto morto ma se ne sono semplicemente contratte le vendite di circa il 23%: fenomeno ampiamente giustificato dal fatto che la vera e propria esplosione delle vendite di dispositivi mobile, ottimi per comunicare ed anche dotati di capacità elaborativa e ludica, doveva giocoforza allontanare dall’uso del personal computer tutta una categoria di persone che se ne servivano solo per andare su Internet, per chattare, per scambiare messaggi, per tenere i conti della spesa e per giocare, cose che si fanno egregiamente con smartphone e tablet, con minore ingombro e con maggiore comodità.
Ci sono tuttavia molte altre cose che ancora si fanno meglio con il personal computer, comprese quelle che la citata pagina del Corriere della Sera reclamizza come appannaggio del mondo degli smartphone ma che altro non sono che versioni per lo più ludiche di più completi software per personal computer: basta leggere la serie degli articoli sul software libero pubblicati in questo mio blog.
Si tranquillizzi, pertanto m.penn: il personal computer non è morto e vivrà ancora a lungo. Quanto meno, al momento attuale, non esiste ancora il killer adatto per farlo morire e questo, anche in futuro, non sarà certo l’iPhone, anche per un fatto fisico che la stessa tecnologia non può superare: quello della dimensione della tastiera e dello schermo.
La vera rivoluzione tecnologica che ha fittiziamente separato i due mondi è quella della sostituzione del processore e dei suoi accessori tipici nel personal computer con il chip (detto SoC, System on a Chip) tipico del tablet e dello smartphone, chip nel quale è racchiuso allo stato solido tutto ciò che nel personal computer è raggruppato nella scheda madre (processore, scheda video, memoria).
Se poi attorno a questo chip aggreghiamo uno schermo che si presti anche al CAD e non ci faccia cavare gli occhi e una tastiera sulla quale si possa scrivere comodamente con quante dita vogliamo avremo magari inventato un’altra macchina, ma sarà pur sempre un personal computer: a meno che lo vogliamo chiamare tablet rinforzato.
Perciò, tutto sommato, cosa c’è che muore ed a cosa servono questi allarmismi?